Il Libano mi ha dato tanto, non puo’ darmi di piu’

Questo e’ un post particolare, lo dicevo nel post precedente. E’ molto personale, ma lo scrivo ugualmente per spiegare perche’ penso che in Libano ho fatto cio’ che dovevo fare. Il “maktub” o il destino, o quel che e’, si e’ compiuto per me. Oltre ad averci trovato un marito meraviglioso e averci conosciuto gente che portero’ sempre con me nel cuore, questo paese mi ha dato la cosa piu’ importante della mia vita. Probabilmente se fossi rimasta in Italia non lo avrei mai fatto, per tanti motivi.

Sono parole che qualcuno ha gia’ letto, perche’ fanno parte di una discussione in un forum, ma le ripropongo qui. Volevo riscriverlo, ma ho avuto paura di perdere le emozioni di quei giorni. Volevo parlare delle mie amiche che mi sono state vicine, di una cartolina che e’ tutt’ora con me arrivata da Nizza, ma si sa che i ricordi cambiano con il tempo, quindi lo lascio cosi’ come l’ho scritto a quel tempo. Non cambio una virgola.

 

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Ho affrontato questo secondo tentativo di fecondazione assistita da sola perche’ mio marito e’ a Dubai per lavoro. Sapevamo che sarebbe stata dura, ma se avessimo solo immaginato quanto, probabilmente non lo avremmo fatto ora, ma avremmo aspettato che finisse il lavoro a Dubai. 
Forse siamo meno forti di quanto pensiamo. O forse, nonostante sapessimo bene cosa ci aspettasse, abbiamo sottovalutato le implicazioni psicologiche. O forse siamo solo stati due stupidi e una cosa cosi’ non si fa separati. 
La stimolazione, il pick up, il transfer, l’attesa del giorno del test di gravidanza.
Poi il giorno del test e’ arrivato. 
Mi sono svegliata la mattina presto, sono andata al laboratorio e ho fatto il prelievo. Chiama alle 2 per sapere l’esito, mi hanno detto. 
Non sono tornata a casa, non ce la facevo. 
Ho girato un po’ per la citta’, mi sono seduta nel bar della mia via preferita a leggere un libro, le righe un po’ tremolanti, perche’ il bisogno di avere mio marito vicino era troppo forte e le lacrime mi velavano gli occhi, le righe rilette piu’ volte, perche’ il pensiero di sentirmi dire ancora una volta che non era andata bene e non averlo vicino a sorreggermi mi rendeva impossibile capire cosa leggevo. 
Sono andata da Bliss a farmi fare un panino e mi sono seduta sul muretto dell’universita’ a mangiare. Non avevo fame, naturalmente, ma non posso saltare i pasti perche’ diabetica. Alle 2,20 non avevo ancora chiamato.
Poi mi sono decisa.
Positivo. Valore alto. Ripetilo, ho urlato alla ragazza che me l’ha comunicato. E lei l’ha ripetuto, con una traccia di sorriso nel tono di voce. Aspetto di vedere un test positivo da 14 anni, le dico.
Ho iniziato a piangere e ridere e urlare e volevo abbracciare il ragazzo della delivery che avevo vicino e non capivo piu’ niente. Poi cercavo una cabina per dirlo a mio marito. E io l’ho visto piangere spesso per i nostri problemi, per le speranze deluse, per il suo stupido senso di colpa, ma questa volta l’ho sentito piangere per la felicita’. Non riusciva a parlare. Oddio, ripeteva, oddio. E piangeva. E la sera mi manda un messaggio per dirmi che la gioia provata quel giorno era superiore solo a quella del giorno del matrimonio.
E mentre ero al telefono con lui la gente mi guardava e io li guardavo e volevo abbracciarli tutti, non solo il ragazzo della delivery.
Quando sono riuscita a rimettere i neuroni in riga, il mio primo pensiero, sono sincera, e’ stato per una mia carissima amica che affrontera’ a breve anche lei il suo secondo tentativo e subito dopo il mio pensiero e’ stato per Cricchellina, Melela e Anna. Cricchellina che si positivizza e ci dice che ce la faremo, Anna che mi incoraggia all’inizio del mio percorso, quando anche lei era all’inizio del suo, Melela che mette questo tra i propositi del nuovo anno.
E penso che devo aspettare 15 giorni per la mia prima ecografia. 
E arriva anche il giorno dell’ecografia. 
E questa volta mio marito c’e’. E’ arrivato ieri. Il lavoro a Dubai e’ finalmente finito. 3 mesi lunghissimi (soprattutto la seconda meta’!!) che sono finalmente passati.
E il dottore che mi dice: congratulazioni, Debora, sei incinta.

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Maalesh goes upside down!

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Lascio questo paese. Complici una buona offerta di lavoro per mio marito, la situazione politica instabile, una piccoletta a cui dare un futuro, la voglia di cambiare. Destinazione Australia. Una piccola pausa in Italia finche’ mio marito trova casa e si sistema, poi saro’ dall’altra parte del mondo, a testa in giu’.

Mi manchera’ questo paese, dove le cose non vanno mai, o quasi, bene, ma e’ un paese che amo, abitato da gente che amo. Si capisce, nonostante la mia voglia di scherzare sui loro difetti, quanto il Libano mi abbia catturata.

Non mi mancheranno i giorni come quello dell’ultimo attentato. Eravamo li’ quel pomeriggio. Mia figlia appena uscita da scuola, che si trova li’ vicino. Per tornare a casa abbiamo girato proprio sulla piazza, in una via parallela, e proprio al momento dell’esplosione. La macchina ha sobbalzato. I vetri venivano giu’. La colonna di fumo nero si e’ alzata poco dietro di noi. Le sirene di vigili del fuoco e ambulanze partite pochi secondi dopo. L’ho raccontato, ho gia’ vissuto un attentato. E mi trovavo proprio dentro, non vicino, ma non ho avuto paura come questo maledetto venerdi’. Perche’ questa volta c’era mia figlia.

Che cos’e’ mamma? Un grande grande fuoco d’artificio, amore. C’e’ la festa? Si. Perche’? Perche e’ finita la scuola e domani c’e’ vacanza, fanno una festa per i bambini che sono appena usciti da scuola (maledetti voi! La piazza e’ piena di bambini). Come dicevo in un commento al post precedente, e’ stata dura sorridere e cercare di portare a casa tutto l’orrore di quello che era successo, cercare di non trasmettere l’angoscia a piccoletta. Come dice Siren, come spiegare ad un bambino i perche’ e i per come di un gesto come questo? Non lo so, non lo voglio nemmeno sapere come si fa. E poi il pensiero che corre all’amica che abita proprio li’, poco piu’ giu’ sulla stessa via. E all’amica che per tornare a casa dal lavoro passa anche lei di li’. Provare a chiamare e mandare messaggi per sapere se stanno bene, ma i telefoni non funzionano subito dopo l’esplosione.

No, non mi manchera’ questo.

Mi mancheranno piu’ di tutto le mie due amiche italiane che sono la mia famiglia qui, le mie sorelle. Questa sara’ la parte piu’ dura. Lo so che le amicizie resistono alla lontananza. Lo so che internet aiuta. Ma il contatto fisico e visivo sono importanti, non e’ vero? Loro dicono che non tornero’ mai. Non lo so, chissa’ cosa ci riserva la vita, che non va mai come l’avevamo pensata. Ma so che portero’ per sempre con me le mie due amiche.

Non mi manchera’ “ma fi carhaba!” (non c’e’ corrente elettrica), oh no, decisamente no. Soprattutto quando me la tolgono fuori orario e la mia torta in forno va a farsi benedire!

Ci ho pensato tanto. Pubblico altri due post dopo di questo. Diversi dal solito. Uno mio, molto personale. Parte di una discussione in un forum, piu’ che un post, ma che spiega, oltre al resto, perche’ sono cosi’ legata a questo paese. E spiega perche’ credo di aver fatto quello che dovevo fare qui. L’altro sono le parole di una poetessa libanese. Poi chiudo definitavamente. Maalesh goes upside down, vita nuova, paese nuovo… blog nuovo?

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un’estate libanese diversa

E’ da molto che non scrivo. Ma questo lo volevo proprio raccontare. E ve lo dico subito, mi sono dilungata un po’ troppo stavolta!

Sto passando l’estate in un paesino tra le montagne del nord del Libano. Un paesino che d’inverno conta un centinaio di abitanti, ma d’estate e’ gremito di libanesi che tornano dall’estero, di gente di una citta’ vicina che si trasferisce qui con armi e negozi, di beirutini e tripolitani in cerca di fresco, di arabi del golfo in cerca di verde, di giovani in cerca di avventure con gli sport estremi, di escursionisti che esplorano la riserva naturale e le montagne intorno, di qualche turista occidentale amico di libanesi che gliene hanno tanto parlato.

E qui c’e’ davvero tanto verde, l’aria e’ pulita, il paesaggio lo definirei quasi violento con le sue maestose montagne che sbucano dal nulla e la vista che spazia dalla citta’ di Tripoli e, se il cielo e’ limpido, anche sulle sue isolette, 1500 metri sul livello del mare piu’ sotto, alla provincia di Akkar fino ad arrivare a Tartous in Siria.

La riserva naturale e’ davvero spettacolare, una passeggiata di circa quattro ore e, se non hai voglia di camminare, puoi anche affittare un asinello per poco piu’ di un dollaro. Se sei fortunato ti accompagnano alcuni falchi che volano maestosi sopra di te.

La temperatura non supera I 28 gradi nemmeno a luglio sotto il sole a picco di mezzogiorno che squaglia l’asfalto di Tripoli laggiu’. La sera ci vuole sempre un golfino leggero, anche se poi nella piazzetta del paese, il Midan, vedo adolescenti in gruppo, tutte uguali (come da noi, d’altra parte) con i loro lunghi capelli lasciati sciolti, le cannottierine striminzite e gli shorts talmente short che ne escono le tasche da sotto e donne con tuniche e vestitini scollati e sbracciati. Possibile che non abbiano freddo? Ma e’ estate. In Libano d’estate fa caldo. “Se e’ matto il tempo, mica sono matta io” diceva una vecchietta del mio paese che si vestiva a seconda della data e non della temperatura.

A proposito di adolescenti, a Beirut e’ difficile vedere questi gruppi di ragazzi e ragazze che si fanno una “vasca”. Si rintanano piuttosto dentro i centri commerciali con i loro mac menu, i mac flurry, una maglia fantastica appena comprata e magari un cinema. Tutto nello stesso posto, al chiuso. Qui invece ce ne sono a branchi in giro per il paese. E mi e’ piaciuto, fanno quello che dovrebbero fare alla loro eta’.

Peccato quei telefonini sempre in mano. Rigorosamente. Come se la loro vita sociale dipendesse da quello.

Il cibo poi e’ meraviglioso, mai vista una mesa (gli antipastini libanesi) cosi’ vasta, il kebbe (polpette di carne e grano ripiene di carne) preparato in 25-26 modi diversi, il darfir (un formaggio caprino) cosi’ ricercato, ma gelosamente custodito perche’ la produzione e’ poca. Se lo vuoi mangiare devi venire qui. Lo zaatar (il timo selvatico) che le donne mescolano sapientemente al summaq e ai semi di sesamo che tostano personalmente. Il manoucharo mi fara’ un monumento quando me ne andro’.

Manoucharo, non ricordo chi per prima lo ha tirato fuori tra le mie amiche italiane, e’ la parola per definire chi prepara il manouche, una specie di piadina farcita con zaatar, appunto, o formaggio o labneh (yogurt a cui e’ stato tolto il siero, tipo Philadelphia) e chi ha piu’ fantasia la usi. Si cuoce al forno o sul saj, una specie di piastra a cupola, che io preferisco di gran lunga.

E la frutta. Pesche piccole e dalla polpa bianca dolci e succose, fichi che sembrano una marmellata e che ti vendono sulla strada appena raccolti e sistemati in graziosi cestini, ciliege nere, grandi e ricche, mele croccanti che non hanno nulla da invidiare alle nostre della val di non.

Pero’… l’ho detto sicuramente tante volte, in Libano c’e’ sempre un pero’!

In questo paesino i giorni in cui fa quei 28 gradi, da 2 mesi a questa parte, li posso contare sulle dita delle mani e probabilmente mi basteranno per contare anche quelli di settembre. Inutile raccomandarsi alle decine di santi e madonnine a grandezza naturale che incrocio ovunque. La mattina mi sveglio sotto un bellissimo sole e guardo dal terrazzo il corno che ho di fronte, poi giro lo sguardo su Tripoli e sopra il mare e le vedo. Sono le otto di mattina e sono in fase di assembramento, per le dieci, massimo le undici, saranno arrivate: le nuvole. Incappucceranno il corno qui di fronte conferendogli una certa aria novembrina,

poi sommergeranno il crinale sul quale e’ appoggiato il paesino e rimarranno fino alle sette di sera.

Bello, magnifico spettacolo della natura, quando arrivano e ti avvolgono, il camminare in mezzo alle nuvole… il primo giorno dici: wow, che bello, il secondo pure, il terzo dici: anche oggi?, dopo quindici giorni ti va decisamente sulle scatole. Le nuvole sono fredde e bagnate! In piscina non puoi andare, al parco con piccoletta nemmeno. Oh, il parco… in un posto cosi’ ricco di verde e boschi e alberi sono stati capaci di fare un playground sopra gigantesca una spianata di cemento, mah. Quello che ti rimane da fare e’ una passeggiata in piazzetta, ma passeggiata e’ un eufemismo. Nel mio paese in Italia piazza della Repubblica sembra Place de la Concorde a Parigi se messa a confronto con il Midan. Saranno 40 passi in lunghezza. In larghezza nemmeno la considero, ne saranno una decina. C’e’ una piccola fontana nel mezzo, non funzionante e usata come secchio dell’immondizia, buona per farci girotondo con piccoletta. E’ circondata da caffe’, bellissimi nei loro palazzi antichi,

ma piuttosto noiosi per una bimbetta che preferisce correre su e’ giu’ nella piazzetta.

Per arrivarci poi… bisogna percorrere in macchina stradine strette a senso unico dove invece si viaggia a doppio senso di marcia, dove rimaniamo invariabilmete incastrati fino a che qualcuno si decide a spostare la macchina parcheggiata dove capita o qualcun’altro si ricorda che non sta in salotto, ma in mezzo alla strada e interrompe i saluti col tizio dentro il negozio li’ di fianco, dove i viglili piazzano le loro transenne e i loro segnali di divieto di accesso, salvo poi spostarsi per far passare le macchine che vogliono passare. Per non parlare di una salita che avra’ una pendenza del 20%, tutta una curva, stretta e ripida, dove mi imbatto regolarmente in auto che scendono contromano e che pretendono che io faccia marcia indietro per far passare i loro macchinoni dai vetri oscurati. Si sbagliano se pensano di farmi paura. Primo: non sono io che devo tornare indietro, secondo: visto mai prendo qualche ragazzino che sbuca da dietro la curva salendo sparato con il suo quad. Ora mi sono rassegnata, parcheggio all’inizio del paese e salgo a piedi. Anche con il passeggino e gli ostacoli, ci metto meno che in macchina.

Ecco, questo e’ Ehden, che e’ verissimo che e’ bello, ma per un weekend, non certo per viverci.

Piccoletta, 3 anni a ottobre, almeno 2 volte al giorno mi fa: mamma, andiamo a Beirut?

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Quando il minimalismo non e’ una scelta

Leggendo il post di unarosaverde riflettevo sul mio essere minimalista.

Sono arrivata in questo paese qualche mese dopo la guerra con Israele del 2006, nel bel mezzo di una complicata situazione socio-politica con un sit-in di protesta nel bel mezzo della capitale.  Anche se piu’ di sit-in era un accampamento durato mesi. A volte anche festoso.

Mio marito era partito un paio di mesi prima di me e a volte arrivavano notizie di scontri. Chiamavo o mandavo messaggi e lui mi rassicurava. Poi un giorno, un giovedi’ ricordo, ci furono scontri piu’ violenti, ma io non ne sapevo niente. Mi arriva un messaggio da lui che mi dice: se senti qualcosa sta tranquilla, dove sono io non c’e’ niente”. Be’, mio marito e’ un tecno-leso, come dice mia cugina. Tutto cio’ che ha tasti e’ un grosso problema per lui. Non riesce nemmeno a capire come leggere il televideo. Quindi il mio ragionamento e’ stato: se ti ci sei messo d’impegno a scrivere un sms senza che nemmeno ti avessi chiesto niente, evidentemente e’ grave. Provavo a chiamare, ma lui non rispondeva. Poi finalmente la sera sono riuscita a parlarci. Io parto, gli ho detto. Ma non farlo, c’e’ pure il coprifuoco, manco ti posso venire a prendere, mi ha risposto. Aspetto all’aereoporto. Ero gia’ andata a comprare il biglietto e il venerdi’ pomeriggio sono partita. Poi quando sono arrivata mi sono resa conto che effettivamente non era cosi’ grave come sembrava, ma dal di fuori sembra sempre peggio.

La situazione non migliorava, poi si sono aggiunti i problemi per l’elezione del presidente della repubblica, poi una piccola guerra, prove tecniche di guerra civile, diceva Severgnini che si trovava qui all’epoca, poi gli attentati, poi la guerra al terrorismo nel campo palestinese di Nahr el Bader, poi… poi quello che succede sempre in Libano. Andavo in giro con il passaporto sempre in borsa e un po’ di soldi, visto mai che non torni a casa, e’ il consiglio che mi ripetevano sempre. E anche adesso che non succede niente, che e’ tutto relativamente tranquillo, li porto sempre con me. Altro consiglio prezioso in quei primi tempi e’ stato: se succede qualcosa entra in una banca. Da brava ingenua italiana cresciuta in un paesino di collina faccio: perche’? e’ un luogo sicuro? Attimo di silenzio incredulo, poi: no, perche’ prendi i soldi e se per caso ti salvi puoi ricominciare a vivere!

Ancora oggi non riesco a togliermi di dosso quel senso di precarieta’ che avevo appena arrivata. Forse e’ per questo che non mi piace nemmeno una casa di tutte quelle che vediamo. Forse e’ per questo che, come dico sempre, nel mio armadio a quattro ante ci sta la mia roba, quella di mio marito, quella di mia figlia, la biancheria della casa e pure un paio di valigie. Che ci facevo con le cose se poi fossi dovuta scappare di corsa?

Queste sono mie sensazioni, pero’. Ho amiche che vivono qui, anche da piu’ tempo di me, e non le hanno. Chissa’ perche’.

Fatto sta che poi ci ho preso gusto al minimalismo che all’inizio era una scelta forzata. Ti senti piu’ leggera. A casa, senza belli ma inutili oggetti sulle mensole, gli occhi riposano. Entro nei negozi quando proprio non ne posso fare  a meno. E ne sono felice, perche’ la musica troppo alta mi infastidisce, perche’ le commesse troppo solerti pure, perche’ ci sono troppe cose dentro e mi confondo.

Mi ha cambiata un po’ questo paese. Maalesh, credo mi abbia cambiata in meglio.

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l’onore, la famiglia, le chiacchiere

Chiusa la parentesi TRASH, torno a occuparmi di cose serie! 😀

Come da noi, in Libano spesso e volentieri si dice ai figli di comportarsi bene per preservare il buon nome della famiglia. Certe cose non si fanno. E di solito i figli rispettano questo diktat e fanno di tutto per assicurarsi che non facciano niente che possa far vergognare i genitori e la famiglia. O perlomeno fanno di tutto per non farsi scoprire. Si, niente di strano, lo fanno anche i nostri giovani.

La differenza sta nel fatto che qui il Paese e’ talmente piccolo che e’ quasi impossibile fare qualcosa o andare da qualche parte senza incontrare qualcuno che conosce qualcun’altro della famiglia e che puntualmente lo riferira’! Il paese e’ piccolo e la gente mormora, qui e’ un detto applicato alla nazione, non al villaggio…

Pensate poi se si ha la (s)fortuna di appartenere a famiglie come quella di El Merhebi o Zouitar. Queste due famiglie contano un qualcosa come 45000 componenti, piu’ o meno l’1% della popolazione libanese. E vi garantisco che qui un cugino di 37simo gradi, conta quanto quello di secondo!

Insomma, non puoi muovere un passo senza che il giorno dopo tuo padre ti chiami per chiederti cosa ci facevi la’ ieri sera.

Se poi ci si aggiunge la secolare e massiccia emigrazione libanese, il problema assume risvolti globali. Uno rischia di starsene tranquillamente in vacanza a San Paolo, Londra, Caracas o Parigi e tuo nonno chiama tuo padre per dirti che lo zio del fratello della moglie di suo cugino gli ha detto che eri seduto in piazza in atteggiamenti intimi con una persona che non si sa chi e’.

E i giovani libanesi emigrati di seconda generazione? Soprattutto loro devono prestare maggiore attenzione, perche’ i genitori libanesi usciti dal paese molto tempo fa hanno portato con loro un ricordo del Libano legato alla loro epoca. Non hanno visto la trasformazione veloce della nuova generazione. Piu’ libera e disinibita. Moderna e allegra. E come ho detto, i giovani rimasti in Libano, per quanto difficile, cercano di non dare un dispiacere alla famiglia e quindi cercano di non farsi scoprire. Un’amica, figlia di emigrati libanesi in Italia, si e’ sentita dire per tutta la vita che doveva adattarsi alle usanze italiane, ma non dimenticare mai che apparteneva ad un’altra cultura. Per esempio, non ci si sbaciucchia per strada, non si dicono le parolacce, quanto meno in presenza di uomini, non si ride ad alta voce, non ci si veste troppo scollate, cose cosi’. Quelle stesse cose che anche i nostri genitori italiani ci hanno sempre raccomandato. Quando questa ragazza e’ venuta in Libano poi, mi ha raccontato ridendo che certi atteggiamenti e modi di fare, nemmeno in Italia li aveva visti.

E tutto questo mi fa pensare a mio cognato, che ha una figlia adolescente e a cui ho chiesto qualche anno fa, ridendo, come avrebbe reagito ai primi amori di sua figlia. La mando in Libano, mi rispose.

Maalesh nipotina, non lo diciamo a tuo padre che verrai a divertirti qui!!

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BEIRUTRASH… o italiantrash?

Sono perfettamente consapevole che, quando uno apre un blog, capitino persone di qualsiasi tipo a leggere. Sono anche perfettamente consapevole che dovrei ignorare e moderare certi commenti. Ed e’ quello che volevo fare in effetti, ma piu’ ci pensavo, piu’ mi dicevo che questo blog e’ il MIO spazio, un po’ come se fosse casa mia. Io invito gente a casa mia, sono contenta di averli con me, ma ci sono regole comportamentali che io giudico ovvie. E quindi replico.

Sono benvenuti tutti i commenti, anche quelli in contrasto con i miei pensieri e le mie considerazioni. Sono ben accette le opinioni diverse e anche le polemiche, purche’ si mantengano su livelli civili, perche’ aprono al dibattito, che arricchisce sempre.

NON tollero maleducazione, NON tollero commenti offensivi, NON tollero che vengano rivolti insulti a chi commenta il mio blog.

Questi sono i commenti in questione (che trovate nel post facciamo una passeggiata), li riporto qui cosi’ uno non deve manco sprecare il tempo a cercarseli sotto gli altri.

In risposta al commento di tatagioiosa:

Premetto che non voglio essere offensivo, ma vuoi mettere Roma con Beirut!!! A me sembra che ho voi del blog nel narghile’ ci avete messo qualche COSA di “strano” e lo fumate o non avete la minima idea di cosa sia questa citta e tutto il Libano.
1. Nessuno rispetta il codice stradale.
2. Devi ripetere almeno 6 volte cio’ che vuoi al Bar, in tre lingue diverse.Ti dicono di si e poi non lo fanno.
3 Fregano gli stranieri.
4 Ipercorruzione negli uffici pubblici.
5 187° paese al mondo lentezza di internet.
6 La prostituzione, sotto il nome di supernight club e ampliamente tollerata.
7 Lacune comportamentali, ( in una comitiva di 8 persone, fino all’ultimo minuto, non si decidono cosa fare la sera………..Aspettano che apra bocca lo Straniero e allora si fa’.)
8 Solo due societa’ telefoniche ipercoostose, che poi in realta e’ una solo, l’UMTS e’ una sogno.
9 IL famoso khoury home e Matta mobile, richiedi la consegna il sabato sera, normalmente come se niente fosse, te consegnano il martedi mattina, mentre tu lavori.
10 Tassisti pochi parlano lingue straniere, ubrachi, pericolosi alla guida, mezzi vecchi.
11 Nel 2011 ” NON C’E’ ANCORA L’ENERGIA ELETTRICA 24 AL GIORNO ASSURDO”.
12 Non ho mai letto di una scoperta scentifica o invezione o creazione fatta da un Libanese ( ho dato una occhiata su wikipedia).
13. DOVREBBERO FARE UNA LEGGE INTERNAZIONALE PER VIETARE ASSOLUTAMENTE DI GUIDARE MEZZI ALLE DONNE LIBANESI, SONO LORO IL VERO PERICOLO. QUANDO LA SMETTERE DI MANGIARE IL MANUSC, TELEFONARE E DARE ORDINI ALLE BADANTI, ALLO STESSO TEMPO, INVECE DI TENERE LE VOSTRE MANINE SUL VOLANTE. FATE FIGLI COME I CONIGLI!!!
14. RUMORE OVUNQUE IMMONDIZZIA OVUNQUE, MUZZA OVUNQUE, MANUTENZIONE STRADALE A SINGHIOZZI.
iN FINE RAGAZZE LIBANESI, MA LO VOLTE CAPIRE CHE NON TUTTI I GIOVANI POSSO SPENDERE 80.000 DOLLARI TRA RANGE ROVER, TELEFONI CARI, RISTORANTI DI LUSSO, PER AVERE FORSE DOPO UN MESE LA FIGA!!!! SVEGLIA IL MONDO VA’ AVANTI, IL VOSTRO PAESE VA’ INDIETRO.

In risposta al commento di selena:

pessimi………….. ma cosa stai dicendo!!!!!! Io ci sono stato almeno 5 volte in Spagna sono educatissimi, gentilissimi, rispettano il codice anche perche’ le varie polizie locali, gli danno addosoo.E’ vero che sono un po’ ubriaconi ma ci sono i controlli. MA in che parta della Spagna sei stata, a melilla forse nella zona ARABA.MA che cavolo di commenti fai! ma non ti vergogni?, ma te hai mai guidato qui in LIbano.Se non lo sai allora taci, ho girato il mondo posso dirti che questo e’ il paese ideale dove puoi guidare come ti pare, tanto la POLIZIA con qualche 1000 lire locali te la compri senza problemi. Quando in Italia mi fermano i Carabinieri, mi cago addosso.!!!!!

In risposta al commento di Tina:

E si si assomigliano…….. immondizzia ,puzza, disordine, parlate l’Arabo ambedue.Infatti mi domando i napoletani che ci fanno in Italia,andate a Beirut, tra megascarafaggi corruzione ed elettricita a singhiozzi, sarebbe il paradiso per voi.ANDATE ANDATE.

Detto questo,

se BEIRUTRASH si prendesse la briga di leggere il mio blog scoprirebbe che questo e’ un posto dove le cose vengono prese con un po’ di ironia e sempre con un sorriso. E’ un blog leggero, e tale voglio che rimanga (sempre perche’ e’ casa mia e quindi posso decidere come ci si comporta a casa mia).

Consiglierei poi a BEIRUTRASH di ripassare un po’ di grammatica (tanto per dirne una, immondizia si scrive con una sola Z). E anche un po’ di netiquette. In internet, lo sanno tutti, le maiuscole equivalgono a gridare. Non si grida a casa mia. Non ho mai sopportato le persone che parlano a voce troppo alta.

Mi piacerebbe sapere perche’ BEIRUTRASH e’ in Libano. Voglio dire, se viene per lavoro gli potrei suggerire di cercare sulla sua Wikipedia l’espressione “non si sputa nel piatto dove si mangia”. E gli direi che puo’ tornare tranquillamente da dove e’ venuto. Se invece viene per vacanza potrei pensare che non sia un uomo molto sensato.

E gia’ che ci si trova, potrebbe cercare pure le parole educazione e rispetto. Uno dei motivi per cui io non mi arrabbio piu’ di tanto con tutte le cose che succedono qui in Libano e’ perche’ non e’ il mio paese. Sono io che mi devo adattare a loro, non il contrario.

BEIRUTRASH avra’ pure girato il mondo, ma non mi sembra che si sia portato a casa qualcosa.

Vorrei anche dire a BEIRUTRASH che mi dispiace immensamente per lui. Pensate come deve vivere male una persona cosi’. Una persona che non vede niente di positivo intorno a lui, che non riesce a cogliere il meglio dalle sue esperienze, deve essere una persona piuttosto vuota dentro. Mi ha messo addosso una tristezza infinita.

Vorrei dire tante altre cose, ma ho idea che ho gia’ sprecato troppe parole, concludo con un estratto di un’intervista di Fabrizio de Andre’ dove parla di Sidone. Forse noi stranieri continueremo a sorprenderci per come vanno le cose qui in Libano, ma magari ci aiuta a comprendere e ad essere un pochino piu’ tolleranti… forse.

Sidone è la città libanese che ci ha regalato oltre all’uso delle lettere dell’alfabeto anche l’invenzione del vetro. Me la sono immaginata, dopo l’attacco subito dalle truppe del generale Sharon del 1982, come un uomo arabo di mezz’età, sporco, disperato, sicuramente povero, che tiene in braccio il proprio figlio macinato dai congoli di un carro armato. Un grumo di sangue, orecchie e denti di latte, ancora poco prima labbra grasse al sole, tumore dolce e benigno di sua madre, forse sua unica e insostenibile ricchezza.

La piccola morte a cui accenno nel finale di questo canto, non va semplicisticamente confusa con la morte di un bambino piccolo. Bensì va metaforicamente intesa come la fine civile e culturale di un piccolo paese: il Libano, la Fenicia, che nella sua discrezione è stata forse la più grande nutrice della civiltà mediterranea.

BEIRUTRASH, se usi toni piu’ civili e togli il caps lock puoi tornare quando vuoi, ahlan ahlan.

No, niente maalesh oggi, non ci riesco.

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un’idea per spendere soldi…

Qualche tempo fa un’amica libanese pubblica su facebook le parole riportate da Thomas Friedman, giornalista del New York Times, dopo la sua visita in Libano:

“I libanesi comprano cose di cui non hanno bisogno, con soldi che non hanno, per impressionare persone che non amano.”

Non tanto diversi dal resto del mondo, ha fatto notare un’altra ragazza. E potrei pure essere  d’accordo se penso ai miei amici in Italia con due o tre telefonini, alle vacanza pagate a rate (l’ho fatto pure io, non sono mica migliore di altri), alle automobili rottamate quando sono ancora in buone condizioni. Voglio dire, non fa notizia la sorella di una mia amica che e’ senza lavoro, le sono rimasti da parte solo 750 dollari, il telefono che vuole ne costa 800 e il padre non le da quello che le manca. Cosi’ lei che fa? Manda mio marito da un suo amico che vende telefoni per riuscire a spuntare quei 50 dollari di differenza. Poi non si sa con cosa si paghera’ le telefonate fino a che non trova lavoro, ma intanto ha preso il telefono, un passo per volta. Oppure l’altra ragazza che prende 600 dollari di stipendio e si compra un camion a 550 dollari al mese. Per camion intendo un SUV, naturalmente, ma e’ talmente grande che la ragazza (che pesera’ si e no 44 kg) ha bisogno di una scaletta per salirci. E con tutta la buona volonta’ che ci mette, continua a buttar giu’ gli scooter che le parcheggiano davanti perche’ non li vede. Dietro no, non le succede perche’ ha i sensori.

Siamo tutti uguali, dicevo.

Ma poi apro un giornale di annunci e mi trovo davanti questa pagina.

La riguardo meglio, perche’ mi dico che non puo’ essere vero. E invece e’ proprio cosi’. Quelli che vedete sono numeri di telefono in vendita. Sono i numeri di alcune sim card che hanno creato un giro di affari ragguardevole. Sono particolari, hanno cifre doppie, simmetriche, a crescere o a decrescere, o magari sono due prefissi diversi, ma stesso numero. E la gente paga per averli. Ma paga proprio tanto. Sapevo che lo facevano, mi e’ capitato pure che un tizio mi ha telefonato per comprare il mio numero perche’ era uguale a quello della targa della sua automobile, ma non pensavo mai arrivassero a questi livelli.

Faccio un’altra foto, perche’ a raccontarlo non ci si crede mica.

3000 dollari per un numero di telefono. Perche’? Per vedere la tua faccia quando ti danno il numero, per sentirti dire: pero’, che bel numero!

Ma tutto sommato a me che importa? Ognuno fa quel che vuole con i suoi soldi. Non li capisco? Maalesh, non ci provo nemmeno, e’ solo un’altra di quelle cose libanesi su cui e’ meglio non interrogarsi.

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ancora? e la cnn?!?!

E poi mi lamento della nostra piccola e disinformata stampa italiana…

Ora che racconto a chi mi chiede se sono arrivati i ribelli di Gheddafi anche qui? A chi mi consiglia vivamente di scappare via perche’ ci bombardano e ci sparano contro?

Voglio dire, l’ha detto la CNN, mica pinco pallino dal sito di un piccolo giornale

 

 

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Al telefono

“Ciao Ali, sono Debora. C’e’ Azzam?”

Prima di sposarmi non c’erano i telefonini, quindi chiamavo il mio futuro marito al telefono del locale che aveva con il fratello. E di solito rispondeva Ali, il fratello, appunto.

“Si, te lo passo.”

Poi arrivava Azzam e mi diceva che il fratello era rimasto male perche’ io non lo salutavo. Ma io lo saluto sempre, dicevo. Lui dice di no (E figuriamoci se un libanese mette in dubbio le parole di un fratello!). Vabbe’, rispondevo, la prossima volta lo faro’, eppure io ero convinta di averlo fatto. Magari nella fretta e nella confusione non ha sentito, mi dicevo.

Ma la scena si ripeteva ancora. E ancora. E tutte le volte che chiamavo. Mi volete vedere con gli occhi spalancati a fissare il telefono mentre mi chiedevo che diamine avesse ‘sto fratello!

Poi ho capito.

Se, per esempio, io me ne andavo in giro con mio marito per il corso del paese, ogni tanto me lo perdevo. Ma che vi stavate dicendo? Niente, ho salutato quell’amico. Anch’io l’ho salutato, eppure non sono stata un quarto d’ora ferma la’. No, tu non l’hai salutato. Mica gli hai chiesto come stava, come andava il lavoro, come stanno i genitori, i figli, la moglie, che fa, che fara’ dopo, dove e’ stato domenica, se gli serve qualcosa…

Capito? Dire ciao non e’ abbastanza per salutare una persona.

Se telefoniamo ai suoi per dire che siamo per strada e arriviamo in mezz’ora, pensate che la telefonata si concluda li’? E certo che no. Che facciamo, non chiediamo come sta tutta la famiglia che vedremo fra pochissimo e a cui richiederemo le stesse cose?

Se telefona il fornitore per l’ordine al locale e’ la stessa cosa. E pure se chiama il direttore della banca.

E certo che mio cognato se la prendeva tanto.

Tempo fa un’amica mi ha raccontato di un film, Lezioni di cioccolato, che io non ho visto, ma sembra sia molto simpatico, dove questa faccenda delle telefonate e’ spiegata molto bene. Il titolare della ditta dove lavora Kamal, lo chiama per rimproverarlo e Kamal, scandalizzato, gli fa presente che non e’ questo il modo di fare una telefonata, ma bisogna passare per tutta la trafila che ho descritto sopra. Poi puo’ passare al rimprovero.

Ma il buffo e’ che questo succede anche su internet.

Qualche giorno fa mando un messaggio alla mia cara amica libanese che vive a Nizza e lei mi racconta di alcuni problemi sul lavoro. Dopo qualche minuto mi manda un altro messaggio: ciao amichetta scusa, un bacione anche a te e la piccoletta. E scusa di che? Faccio io. Perche’ non ti ho detto ciao ne’ mandato un bacione!

Non ci credo ancora. Maalesh, amichetta. Io non ci rimango mica male!

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Cerchi casa a Beirut? Apri le tende!

Queste roventi, pigre, afose e lente giornate di agosto le stiamo dedicando alla ricerca di una casa. Una casa con una stanza in piu’ perche’ piccoletta cresce e il pavimento del mio salotto sembra campo minato. Ma gli affitti a Beirut sono alti, molto, comparabili a quelli di qualsiasi altra capitale europea. Cosi’ mio marito se ne viene fuori con la storia di un mutuo prima casa conveniente, con una rata piu’ bassa di un affitto e la scusa che la casa restera’ a piccoletta, che se ce ne andiamo si puo’ sempre affittare, che non buttiamo via soldi. Io non sono convinta. Non mi sembra un buon investimento una casa in una citta’ che ogni tanto viene bombardata o e’ bersaglio di attacchi terroristici o teatro di guerre interne. E poi mi sembra troppo definitivo. Ma lui insiste. E mi rimette davanti la piccoletta. I soldi che spendiamo per l’affitto andranno a lei, inoltre lo Stato ripaga i danni da guerre e simili. Cosi’ mi faccio convincere. Io, che mio marito per comprare il mobile della sala lo ha dovuto fare di nascosto mentre ero in Italia. Io, che non ho nessun quadro alle pareti e nessun soprammobile in giro per casa. Io, che ho fatto mie le parole di Holly in “Colazione da Tiffany” “E poi non voglio possedere niente, finché non avrò trovato un posto che mi vada a genio, non so ancora dove sarà, ma so com’è. Se io trovassi un posto a questo mondo che mi facesse sentire come da Tiffany, comprerei i mobili e darei al gatto un nome”. Non l’ho ancora trovato quel posto (forse perche’ non mi piacciono i diamanti…), eppure eccomi alla ricerca di una casa.

E trovare casa a Beirut non e’ facile. Figurati.

La prima cosa che ho imparato e’: aprire le tende. Perche’ non si sa mai cosa ci trovi fuori dalla finestra!

E questo mi porta all’altra cosa che ho imparato. Non ti fidare di chi ti vende casa con vista mare. Perche’ dopo un paio di anni ti ritrovi davanti un palazzo piu’ alto del tuo e la tua vista mare (pagata 10000 dollari in piu’) va a farsi benedire. A meno che non la compri davanti ad un cimitero. Allora puoi essere relativamente sicuro che non ci costruiranno.

Ma non e’ solo questo. In Libano le mattonelle non sono mai perfettamente allineate. La pittura e’ sbavata. L’impianto elettrico e’ svolazzante. L’intonaco cede ai bordi delle finestre. I muri sono storti. Un mio amico dice che questo succede perche’ i mastri se ne vanno a lavorare nei paesi del golfo e i loro apprendisti prendono il loro posto. Io dico che e’ perche’ i libanesi sono approssimativi. Miskaljieh (piu’ o meno si scrive cosi’), che fa un sacco di problemi, si e’ sentita dire la mia amica che pretendeva un lavoro fatto bene in casa sua. Quanto la fai lunga, si e’ sentito dire un altro perche’ chiedeva che le tegole della tettoia fossero allineate.

E tra le tante cose, ce n’e’ una che proprio non capisco. Perche’ la finestra del bagno deve essere cosi’ piccola? Un minuscolo quadratino di pochi centimetri. Nella stanza piu’ umida di tutta la casa!

Ho visto case vecchie e case nuove, dentro e fuori Beirut, ma sono tutte cosi’.

Maalesh, ho tempo. Prima o poi la trovo. Magari trovo quel posto che mi fa sentire come da Tiffany.

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